“..Sono stato per la prima volta a Casal di Principe nel giugno dell’anno 2005, quale inviato del settimanale “D” di Repubblica.
Un grande cancello rosso in ferro e un muro altissimo, almeno 3 metri, circondava la dimora di Walter Schiavone; il lungo viale fatto di sanpietrini e in fondo, la villa semidistrutta, bruciata, vandalizzata e completamente spogliata di ogni pezzo di valore: ringhiere, infissi, lampadari, marmi. Restavano i segni del lusso e del potere: le colonne, il timpano, e la vasca, come nelle case patrizie dell’Antica Pompei; ma quella era la villa di “Scarface”.
Delle ore trascorse nella villa a fotografare, ricordo che mi sentivo come quando da bambino volevo fare l’archeologo, una sorta di avventura alla scoperta di tutti i possibili segni lasciati dalla famiglia che abitava quei luoghi nel passato.
Entrai dappertutto e spesso la meraviglia di quella singolare scenografia mi faceva sgranare gli occhi: immediatamente aprivo il cavalletto.
Dovevo dare il tempo alla luce di scalfire e penetrare nel nero della fuliggine per leggere i dettagli più nascosti; chiudere il diaframma al massimo per ottenere una messa fuoco nitida dell’immagine in tutta la sua profondità. La poca luce che entrava dalle finestre ostruite dalle piante infestanti, mi costringeva a esposizioni di decine di minuti, e tutto quel tempo lo utilizzavo per memorizzare il luogo; non mi bastavano le fotografie.
L’arroganza del potere violento e criminale e il controllo del territorio avevano consentito agli uomini del clan di svuotare la villa e incendiarla, come accade spesso nei casi di sequestro di beni in Italia, al nord come al sud.
Due anni dopo, Matteo Garrone si apprestava a girare “Gomorra” il film; la casa produttrice Fandango aveva trasformato il mio studio nel suo quartier generale, dove si svolgevano riunioni, casting, prove di trucco. Gli autori usavano le foto di miei lavori per ricreare le scenografie: divenni anche il contatto tra il consorzio Agrorinasce e Fandango.
Il giorno in cui andammo a girare le riprese del film c’erano Marco e Ciro, i due giovani e talentuosi attori che come tutti noi erano particolarmente meravigliati. La villa era identica a come l’avevo lasciata, forse solo le piante erano cresciute ed avevano invaso ancor di più i suoi spazi .
Non c’era luce, zero: il direttore della fotografia Marco Onorato ebbe un’idea eccezionale per illuminare la scenografia; sistemò gli specchi al sole, consentendo così alla luce di rimbalzare all’interno della villa, illuminandola quel poco che bastava per “girare”.
Io ero il fotografo di scena e mi ritrovavo a scattare negli stessi spazi che avevo già fotografato, ma con un’altra modalità, completamente differente. Marco, l’attore urlava: “vi ammazzo tutti bastardi colombiani”. Per poi immergersi nella vasca, così come Al Pacino recitava nel film Scarface, probabilmente nello stesso modo in cui anni prima Walter Schiavone aveva fatto, magari fumando un sigaro e bevendo champagne.
In quel momento mi ricordai delle parole di Giovanni Allucci che due anni prima mi aveva detto con gli occhi pieni di orgoglio: “la villa di Walter Schiavone diventerà un centro di riabilitazione per persone che hanno problemi motori”
In realtà ricordo che non avevo alcun buon presentimento che questo progetto potesse andare a buon fine; per fortuna mi sbagliavo.