Nel 1982, al Teatro Nuovo di Napoli, debuttò Tango Glaciale, lo spettacolo-rivelazione che impose il collettivo di artisti “Falso Movimento” all’attenzione del pubblico e della critica, in Italia e all’estero. L’opera, ideata e diretta dal visionario Mario Martone, fondatore del collettivo, fu considerata da molti la più intensa e coinvolgente di quella straordinaria stagione che, dopo le neoavanguardie degli anni settanta, vide il teatro sperimentale riconsiderare mezzi e codici espressivi, mescolare linguaggi diversi e muoversi in una direzione fisica, di rottura con la dittatura della parola e del dialogo.
Nel 2018, a distanza di quasi quarant’anni, il“manifesto della nuova spettacolarità”, che fu tra i primi a sancire l’alleanza tra la comunicazione teatrale e quella elettronica, torna in scena con un nuovo titolo, Tango Glaciale Reloaded (1982-2018), come parte del Progetto RIC.CI – Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta/Novanta ideato e diretto da Marinella Guatterini – e prodotto da Fondazione Teatro di Napoli/ Teatro Bellini e Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto. Il riallestimento, a cura di Raffaele Di Florio e Anna Redi, con le elaborazioni videografiche di Alessandro Papa, risulta innovativo e moderno ma allo stesso tempo in perfetta continuità con le idee e le suggestioni originarie. Il risultato è una commistione straordinaria di linguaggi, epoche e suggestioni letterarie, pittoriche, sonore, visive, in grado di «mettere il lavoro alla prova di una generazione che nel 1982 era lontana dall’essere concepita», come afferma il regista stesso, «gli interpreti di questa versione “reloaded” sono nati tutti e tre ben dopo il 1982. Tutto è diverso, sono diversi i corpi, il rapporto col genere (che in Tango Glaciale, due uomini e una donna, si rimescola e si trasfigura continuamente), le mitologie di riferimento (il cinema, la new wave); è interessante vedere quel che accade a questi attori scaraventati, diversamente da me, da noi di Falso Movimento e dagli spettatori di allora, ma pur sempre scaraventati anch’essi, nella macchina del tempo che è questo Tango Glaciale reloaded. Noi veniamo scaraventati nel passato, stranamente loro nel futuro. Era pur sempre uno spettacolo di fantascienza, Tango Glaciale, come certi racconti di Ray Bradbury. C’è un ragazzo che, nel chiuso della sua stanza, vede la casa improvvisamente trasfigurata in ogni ambiente, il salotto, la cucina, il tetto, il giardino. A spingere, secondo lui, sono forze che stanno trasformando il mondo (“this is the ice age”, cantano Martha and the Muffins alla fine dello spettacolo), che lo stanno portando al di là delle frontiere dove tutti i riferimenti saltano e si ricombinano tra loro, si vola tra le stelle, si comunica attraverso parole esplose. Solo l’immaginazione salva, pensa quel ragazzo (e continuerà a pensarlo per tutta la vita). Solo una relazione vitale salva, pensava Pasolini, e anche questo era vero per quel ragazzo (e lo è ancora oggi). Con quel ragazzo ci sono infatti tre compagni di scuola che coltivano le sue stesse passioni, Angelo, Pasquale e un diciottenne che sarà il suo primo attore feticcio, Andrea; un pittore, Lino, che sente esplodere anche lui la tela su cui dipinge; il conduttore di una radio libera che trasmette magicamente proprio la musica che ama quel ragazzo, il suo nickname è Daghi. C’è una giovane e meravigliosa donna, l’unica del gruppo, Licia, e c’è un formidabile straniero, Tomas: viene dagli Stati Uniti ma è l’unico scugnizzo tra questi napoletani. Insomma, abbastanza per un racconto di avventura e di fantascienza. Il racconto di Tango Glaciale».